Il Giornale della Musica

Chopin che balla

un taccuino d’artista riletto da un musicista in stato di grazia...l’unione (che è davvero dei grandi) tra pregnanza emotiva e sobrietà di espressioneSembra un paradosso per un compositore che ha scritto tante opere dense di virtuosismo impervio, ma si sente spesso dire che tra le cose più “difficili” di Chopin ci siano le apparentemente semplici e accattivanti mazurke. Sarà perché in questi pezzi brevi, liberi nella forma ma accomunati dalla temperatura ritmica della danza popolare, Chopin era a casa sua come non mai, parlava per così dire in dialetto: e si sa quanto possa essere arduo, per chi sia nato anche solo pochi chilometri più in là, comprendere appieno (non parliamo poi di riprodurre) la lingua viva che si trasmette oralmente.

Per questa e per altre ragioni era molto attesa l’ultima fatica di Pietro De Maria, che ha scelto di concludere la sua strepitosa integrale chopiniana proprio con la serie completa di questi brani da salotto (oltre alle mazurke, ci sono la Fantasia, la Berceuse, il Bolero, la  Barcarolle, e i Rondò). Brani scritti per un pubblico scelto e ristretto, per spazi raccolti, senza l’incubo di dover piacere en masse che senz’altro gravava sui grandi pezzi da concerto. E che si trasformarono, nel laboratorio del compositore, in uno spazio di sperimentazione, di visionarietà, oltre che in una sorta di diario interiore.

De Maria, pur nella levigatezza che lo contraddistingue, ne fa un disco pieno di personalità, un taccuino d’artista riletto da un musicista in stato di grazia. Colpiscono come sempre nel pianista veneziano la cura del suono, il senso sicuro della struttura e del fraseggio, l’unione (che è davvero dei grandi) tra pregnanza emotiva e sobrietà di espressione, e un’eleganza naturale che mai come in questo caso favorisce e mette in luce la musica.


un taccuino d’artista riletto da un musicista in stato di grazia...l’unione (che è davvero dei grandi) tra pregnanza emotiva e sobrietà di espressioneSembra un paradosso per un compositore che ha scritto tante opere dense di virtuosismo impervio, ma si sente spesso dire che tra le cose più “difficili” di Chopin ci siano le apparentemente semplici e accattivanti mazurke. Sarà perché in questi pezzi brevi, liberi nella forma ma accomunati dalla temperatura ritmica della danza popolare, Chopin era a casa sua come non mai, parlava per così dire in dialetto: e si sa quanto possa essere arduo, per chi sia nato anche solo pochi chilometri più in là, comprendere appieno (non parliamo poi di riprodurre) la lingua viva che si trasmette oralmente.

Per questa e per altre ragioni era molto attesa l’ultima fatica di Pietro De Maria, che ha scelto di concludere la sua strepitosa integrale chopiniana proprio con la serie completa di questi brani da salotto (oltre alle mazurke, ci sono la Fantasia, la Berceuse, il Bolero, la  Barcarolle, e i Rondò). Brani scritti per un pubblico scelto e ristretto, per spazi raccolti, senza l’incubo di dover piacere en masse che senz’altro gravava sui grandi pezzi da concerto. E che si trasformarono, nel laboratorio del compositore, in uno spazio di sperimentazione, di visionarietà, oltre che in una sorta di diario interiore.

De Maria, pur nella levigatezza che lo contraddistingue, ne fa un disco pieno di personalità, un taccuino d’artista riletto da un musicista in stato di grazia. Colpiscono come sempre nel pianista veneziano la cura del suono, il senso sicuro della struttura e del fraseggio, l’unione (che è davvero dei grandi) tra pregnanza emotiva e sobrietà di espressione, e un’eleganza naturale che mai come in questo caso favorisce e mette in luce la musica.

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