Musica

Musiche di Chopin - pianoforte Pietro De Maria

Ci sono le premesse per quella che già si preannuncia come una delle maggiori realtà interpretative chopiniane dell’immediato futuroChapeau, signori miei! Con tutta l’attività concertistica ormai portata avanti gloriosamente da Pietro De Maria, con quel po’ po’ di repertorio che si ritrova, solistico, cameristico e con orchestra, il pianista veneziano, toscano d’adozione, ha trovato il tempo di iniziare un’integrale di Chopin! E con che ritmo! A Firenze è arrivato all’op. 25 in due concerti, a Torino negli stessi giorni all’op. 31 in tre concerti. Ovviamente per tale impresa occorrono doti eccezionali di tecnica, di memoria, di tenuta, ma il risultato globale dei due concerti fiorentini ha convinto anche chi ovviamente ricerca nelle pagine del grande polacco ben altro. Già il primo programma, iniziato col Rondò op. 1 e concluso con i Dodici Studi op. 10, presentava degli scogli: lo Chopin salottiero (op. 1 e op. 5), lo Chopin alle prese con la forma sonata (op. 4), lo Chopin già grande delle prime Mazurche (op. 6 e 7) e i primi Notturni (op. 9): tecnica, passione, lirismo, eleganza, dominio della forma. Ben altro ovviamente il secondo programma: sempre il lato “leggero” di Chopin (op. 12, 16, 19), ancora Mazurche (op. 17 e 24) e Notturni (op. 15), ma ecco il primo grande Valzer (op. 18), il primo Scherzo (op. 20) e la prima Ballata (op. 23); e l’altra serie degli Studi (op. 25). Con uno sconfinamento fuori programma nella prima serata: il secondo Scherzo, op. 31.
Non so quanti interpreti oggi possono raggiungere in modo omogeneo il livello dimostrato da tutte queste interpretazioni: date per scontate una tecnica ineccepibile e pressoché infallibile, una bellezza di suono costante a tutti i livelli di decibel, un’attenzione ai contrasti dinamici (quanti piano e pianissimo nell’opera di Chopin!), una fedeltà al testo studiata anche sulle più recenti edizioni Urtext, De Maria ha però convinto soprattutto per una completa adesione allo spirito delle singole opere, differenziandone i caratteri e ricercandone i più reconditi e imprevedibili motivi di ispirazione: personalmente ho trovato assolutamente eccezionale il clima di alcuni Studi (op. 25 n. 1 e 2) e di alcune mazurche (op. 17 n. 4 e op. 24 n. 4), ma praticamente ogni brano eseguito celava il suo momento magico. E, strutturalmente parlando, poche volte avevo ascoltato eseguite con tale coerenza le opere maggiori (Sonata, Scherzi, Ballata).
Attendiamo con pazienza e curiosità il seguito, comprensibilmente ancor più impegnativo. Ma ci sono le premesse per quella che già si preannuncia come una delle maggiori realtà interpretative chopiniane dell’immediato futuro.


Ci sono le premesse per quella che già si preannuncia come una delle maggiori realtà interpretative chopiniane dell’immediato futuroChapeau, signori miei! Con tutta l’attività concertistica ormai portata avanti gloriosamente da Pietro De Maria, con quel po’ po’ di repertorio che si ritrova, solistico, cameristico e con orchestra, il pianista veneziano, toscano d’adozione, ha trovato il tempo di iniziare un’integrale di Chopin! E con che ritmo! A Firenze è arrivato all’op. 25 in due concerti, a Torino negli stessi giorni all’op. 31 in tre concerti. Ovviamente per tale impresa occorrono doti eccezionali di tecnica, di memoria, di tenuta, ma il risultato globale dei due concerti fiorentini ha convinto anche chi ovviamente ricerca nelle pagine del grande polacco ben altro. Già il primo programma, iniziato col Rondò op. 1 e concluso con i Dodici Studi op. 10, presentava degli scogli: lo Chopin salottiero (op. 1 e op. 5), lo Chopin alle prese con la forma sonata (op. 4), lo Chopin già grande delle prime Mazurche (op. 6 e 7) e i primi Notturni (op. 9): tecnica, passione, lirismo, eleganza, dominio della forma. Ben altro ovviamente il secondo programma: sempre il lato “leggero” di Chopin (op. 12, 16, 19), ancora Mazurche (op. 17 e 24) e Notturni (op. 15), ma ecco il primo grande Valzer (op. 18), il primo Scherzo (op. 20) e la prima Ballata (op. 23); e l’altra serie degli Studi (op. 25). Con uno sconfinamento fuori programma nella prima serata: il secondo Scherzo, op. 31.
Non so quanti interpreti oggi possono raggiungere in modo omogeneo il livello dimostrato da tutte queste interpretazioni: date per scontate una tecnica ineccepibile e pressoché infallibile, una bellezza di suono costante a tutti i livelli di decibel, un’attenzione ai contrasti dinamici (quanti piano e pianissimo nell’opera di Chopin!), una fedeltà al testo studiata anche sulle più recenti edizioni Urtext, De Maria ha però convinto soprattutto per una completa adesione allo spirito delle singole opere, differenziandone i caratteri e ricercandone i più reconditi e imprevedibili motivi di ispirazione: personalmente ho trovato assolutamente eccezionale il clima di alcuni Studi (op. 25 n. 1 e 2) e di alcune mazurche (op. 17 n. 4 e op. 24 n. 4), ma praticamente ogni brano eseguito celava il suo momento magico. E, strutturalmente parlando, poche volte avevo ascoltato eseguite con tale coerenza le opere maggiori (Sonata, Scherzi, Ballata).
Attendiamo con pazienza e curiosità il seguito, comprensibilmente ancor più impegnativo. Ma ci sono le premesse per quella che già si preannuncia come una delle maggiori realtà interpretative chopiniane dell’immediato futuro.

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